Scoprimente. Hikikomori, chiudersi in casa e rifiutare il mondo esterno

Per un nuovo appuntamento di “ScopriMente”, la rubrica di psicologia a cura del direttore di Irpiniatimes, la dott.ssa Anna Vecchione e della Psicologa e Psicoterapeuta dott.ssa Annalisa de Falco, parleremo di Hikikomori, l’autoreclusione come forma di rifiuto sociale.
Dottoressa, cosa si intende per Hikikomori?
“Il termine “Hikikomori” origina dalla fusione di due parole giapponesi: “hiku” che si traduce “tirare” e “Komoru” che si traduce “ritirarsi”. Il suo significato letterale, quindi, è: “isolarsi, stare in disparte”. Il primo ad usare tale espressione fu uno psichiatra giapponese, Saito Tamaki, il quale, negli anni ottanta, osservò un numero crescente di giovani che, in una sorta di autoreclusione, sceglievano di rimanere nelle loro stanze, rinunciando alla frequenza scolastica e ai rapporti sociali. La sindrome Hikikomori ha trovato terreno fertile in Giappone per le caratteristiche intrinseche della società, in cui prevale una forte competizione ed uno spiccato senso dell’onore, per cui la sconfitta non è affatto prevista. La rinuncia alla competizione ed il terrore del disonore hanno indotto alcuni ragazzi al ritiro volontario, ad un estremo isolamento come forma di salvezza, ma anche come forma di protesta verso una società ostile. Dal Giappone, però, il fenomeno si sta propagando anche in altri paesi. In Inghilterra, ad esempio, per indicare un giovane apatico, senza alcun interesse, viene usata la sigla “NEET” (Not in employment, education or training). Negli USA, invece, il termine “Adultoscelent” viene usato per indicare i giovani adulti che ancora vivono nella casa dei genitori e che non desiderano emanciparsi dalla famiglia. Il giovane Hikikomori può esprimere il suo isolamento con diverse modalità: può scegliere di rimanere chiuso in casa tutto il giorno, uscire unicamente di notte o al mattino molto presto per non incontrare conoscenti, oppure fingere di avviarsi verso scuola o verso il posto di lavoro e, invece, bighellonare tutto il tempo. La sindrome Hikikomori colpisce più frequentemente il sesso maschile, con una età compresa tra i 18 e i 27 anni ed è, spesso, il figlio maggiore di una famiglia agiata, di livello sociale medio-alto. Studi recenti, però, hanno evidenziato un aumento di sviluppo di tale patologia in soggetti più adulti, con una età compresa tra i 30 e i 40 anni. Condizione necessaria perché venga posta diagnosi di sindrome Hikikomori è un periodo di almeno 6 mesi di isolamento sociale, di assenza totale da ogni attività scolastica e/o lavorativa, senza alcuna relazione al di fuori della famiglia. Il periodo medio di isolamento sociale è di circa 39 mesi, ma può variare da pochi mesi a parecchi anni. Le ultime stime parlano di 100 mila casi italiani di hikikomori, un numero impressionante di autoreclusi che, mediante la scelta volontaria di isolamento, in realtà, reclama attenzione e supporto. Si teme che tale numero sia, addirittura, destinato ad aumentare se non si riuscirà a dare al fenomeno una precisa collocazione clinica e sociale. Risulta fondamentale distinguere l’ansia sociale dalla sindrome di hikikomori. Il soggetto affetto da ansia sociale continua a stabilire relazioni esterne e a frequentare i luoghi di suo interesse, pur evitando situazioni fonte di disagio e angoscia. Il soggetto Hikikomori, invece, crea un muro con il mondo esterno ed anche con i familiari, interrompendo qualsiasi possibilità di dialogo e comunicazione. Sono entrambi disturbi importanti e invalidanti per i ragazzi e necessitano di adeguate psicoterapie”.
Parliamo della sintomatologia…
“Nonostante non esista ancora un’ufficiale definizione dell’hikikomori a livello internazionale e non ci sia una diagnosi ufficiale nel DSM-5, il Ministero della salute Giapponese (MHLW) ne ha indicato alcune caratteristiche e sintomi specifici:
- Preferenze verso attività svolte in casa e che non coinvolgono situazioni esterne;
- Mancata frequentazioni di scuole e/o ricerca di lavori;
- Persistenza del ritiro sociale non inferiore a sei mesi;
- Nessuna relazione esterna mantenuta con compagni o colleghi di lavoro.
I primi sintomi di una tendenza alla autoreclusione possono manifestarsi anche anni prima dello sviluppo conclamato della sindrome e possono esprimersi in azioni di violenza familiare, danneggiamenti della parete della stanza e rifiuto scolastico. Si ritiene che alla base di tali atteggiamenti possano esserci atti di bullismo sofferti e disagio psicologico vissuto in famiglia. Quest’ ultimo sembra essere legato, in particolar modo, alle assenze della figura paterna, che, nella società giapponese, vengono giustificate dal ruolo di padre assorbito dal lavoro. Si esclude la diagnosi di hikikomori qualora sia presente un disturbo psichiatrico di maggiore gravità che possa sovrapporsi ai sintomi di ritiro sociale (schizofrenia, ritardo mentale, depressione maggiore) o altre cause che possano meglio spiegare il ritiro sociale. I sintomi della hikikomori possono variare per frequenza ed intensità. Il soggetto che ne è affetto trascorre tutto il tempo tra le mura domestiche o in camera e le uniche interazioni con l’esterno avvengono attraverso internet, l’utilizzo di chat, social network e videogame, evitando qualsiasi tipo di relazione e comunicazione diretta con altri individui. Il modello familiare predominante sembra essere quello in cui i genitori sono entrambi laureati, con uno dei due genitori, in genere il padre, spesso assente in famiglia e con incarichi dirigenziali. Il soggetto hikikomori presenta, in genere, un completo e totale isolamento sociale, un rifiuto di una qualunque tipologia di rapporti interpersonali non solo esterni, ma anche all’interno del proprio nucleo familiare, limitando il contatto ai momenti indispensabili, come quello in cui viene passato il piatto con il pasto all’interno della stanza da letto. Spesso gli hikikomori presentano alterazione dei ritmi circadiani, con inversione del ritmo sonno-veglia e il disagio psichico può essere espresso anche attraverso forme di aggressività e scoppi di rabbia. Nei casi più gravi il soggetto non esce dalla sua stanza né per lavarsi, né per alimentarsi. Inoltre, uno studio recente ha dimostrato come tra gli hikikomori sia associato un elevato rischio di suicidio, con precedenti storie di abbandono scolastico e i trattamenti psichiatrici.
Le cause possono essere diverse:
- Caratteriali: incapacità ad affrontare le difficoltà, gli ostacoli degli eventi e l’ostilità, l’aggressività delle persone;
- Familiari: assenza fisica ed emotiva della figura paterna ed incomunicabilità con entrambi i genitori;
- Scolastiche: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d’allarme dell’hikikomori. L’ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo. Molte volte dietro l’isolamento si nasconde una storia di bullismo;
- Sociali: le pressioni esterne che inducono a primeggiare e a realizzarsi, vengono vissute con particolare sofferenza, con reazioni di rifiuto dell’intera società;
Erroneamente si ritiene che la dipendenza da internet possa essere fattore scatenante della patologia, ma essa rappresenta una conseguenza dell’isolamento, non una causa. La patologia era presente in Giappone ben prima della diffusione del personal computer. Questo significa che già prima che esistesse internet l’isolamento degli hikikomori era totale. Al contrario, l’utilizzo del web può essere interpretato come un fattore positivo in quanto consente ai ragazzi di continuare a coltivare delle relazioni sociali che altrimenti non avrebbero. I sintomi della sindrome Hikikomori descritti da Saito Tamaki (1998) sono: ritiro sociale, fobia scolare, e ritiro scolastico. Si possono associare: antropofobia (paura della gente e dei contatti sociali), automisofobia (paura di essere sporchi), agorafobia (paura di ambienti non familiari e di spazi aperti), manie di persecuzione, disturbi ossessivo-compulsivi, comportamenti regressivi, evitamento sociale, apatia, letargia, umore depresso, pensieri di morte e tentato suicidio, inversione del ritmo circadiano di sonno-veglia, internet addiction disorder, comportamenti violenti contro la famiglia, in particolare verso la madre. Il ritiro sociale è il sintomo principale che induce a non abbandonare la stanza per mesi o, nei casi particolarmente severi, per anni. L’universo simbolico della “stanza chiusa” può assumere significati contrapposti: o luogo di rifugio (una sorta di “isola protetta”) o luogo di “prigionia”.
Ci conferma che questo tipo di fenomeno, dopo la pandemia da Coronavirus, si è diffuso in tutto il mondo e non solo in Giappone?
“Il lockdown, che ci ha costretti in casa per evitare la diffusione del contagio da Coronavirus, ha rappresentato un isolamento forzato, imposto dalle autorità sanitarie. Ognuno di noi ricorda bene il desiderio che terminasse al più presto, per ritornare alla vita normale, per rivivere la sensazione di libertà, poter uscire e socializzare. Il soggetto Hikikomori, invece, sceglie volontariamente l’isolamento e non desidera modificare la sua condizione di recluso.
Il lockdown ha, però, impattato in senso negativo anche sul soggetto Hikikomori. Se, prima della pandemia, i suoi sintomi erano in fase di miglioramento, il lockdown può aver creato una recrudescenza, interrompendo il percorso di guarigione. Un soggetto insicuro della sua scelta di isolarsi dal mondo potrebbe, durante il lockdown, essersi convinto della bontà delle sue convinzioni e aver sviluppato la sindrome in maniera conclamata. Terminato il lockdown, tutti i soggetti affetti da sindrome Hikikomori si sono materializzati. I sintomi c’erano già, ma i genitori li hanno certamente sottovalutati, dal momento che tutti erano costretti a casa dalle circostanze. Mentre per tutti noi l’isolamento era solo fisico, per l’Hikikomori l’isolamento diventava psicologico. Ritenendo di non essere benvoluto, apprezzato e compreso, ha scelto di negarsi agli altri come forma di rifiuto e di protesta. Gli aumenti di suicidi tra i giovani esprimono, in maniera estrema, tale forma di condanna verso la società e la famiglia di origine”.
Quali sono i soggetti più colpiti da hikikomori?
“Gli Hikikomori sono spesso ragazzi intelligenti, sensibili, timidi, introversi. Nella loro anamnesi emergono storie di forte disagio familiare, con figure di padri fisicamente assenti. Risultano, spesso, pressioni psicologiche genitoriali, con richieste di eccellere negli studi e nelle attività sportive. Hanno maggiore possibilità di sviluppare la patologia i ragazzi che sperimentano un sistema scolastico particolarmente severo ed impegnativo. La sindrome, talvolta, si manifesta dopo una prolungata assenza da scuola. Anche essere vittima di bullismo può scatenare il desiderio di chiudersi in camera e di isolarsi”.
Concludiamo con il percorso terapeutico…
“Spesso l’Hikikomori viene confuso con altre patologie ed il ritardo o la mancata diagnosi possono impedire un’adeguata e appropriata terapia. Ad un percorso di psicoterapia individuale, si associa, spesso, un trattamento familiare. Come per molte altre condizioni psichiatriche, la cura dell’hikikomori implica una combinazione di psicoterapia e psicofarmacologia. La terapia familiare deve includere sia il paziente che i suoi genitori, con un trattamento psicoterapico che tenda a trattare l’ansia sociale, il senso di inadeguatezza e la bassa autostima. Il percorso psicoterapeutico prevede anche esercizi di esposizione alle situazioni temute con l’obiettivo di aumentare gradualmente il contatto sociale. Per indurre il soggetto hikikomori ad uscire dalla sua stanza possono, inizialmente essere utili sia visite domiciliari che collegamenti on-line. A livello farmacologico la cura dell’hikikomori prevede spesso l’uso di antidepressivi. Visto lo scarso numero di studi sia di trattamenti psicoterapeutici che farmacologici, è ancora difficile definire strategie di intervento chiare e generalizzabili. Molto spesso, quindi, la scelta del percorso terapeutico migliore viene definito caso per caso, analizzando nello specifico le diverse caratteristiche del paziente. Nel caso di sospetto hikikomori è fondamentale fare riferimento al proprio medico di fiducia fino a richiedere uno specialista. Il trattamento psicologico e farmacologico deve essere iniziato il più precocemente possibile, cercando di ridurre soprattutto le difficoltà iniziali alla cura tipiche dei pazienti con ritiro sociale. In genere i casi di ritiro sociale vengono segnalati attraverso la richiesta d’intervento dei genitori, quindi, il primo step potrebbe essere l’incontro con i familiari, successivamente si interviene a domicilio con il supporto di uno psicologo o psicoterapeuta specializzato ed esperto sui casi di autoreclusione volontaria. Parallelamente al trattamento del ragazzo Hikikomori, viene supportato anche l’intero nucleo familiare”.
Contatti dott.ssa Annalisa de Falco – 333 766 9118.